" È bene partire dalla definizione dell'oggetto di cui parliamo ossia la cinta magistrale di Verona,
questo in onore al principio di verità secondo il quale si parla convenientemente di ciò che si
conosce. Tutti i Veronesi hanno sotto gli occhi le mura di Verona però un conto è vedere ed un
conto è capire ciò che si vede, pertanto credo sia opportuno fare una breve illustrazione delle opere
della cinta magistrale veronese, anche perché oggi ci sono molti giovani presenti, cosa molto
interessante, quindi anche per loro credo che sia bene presentare l'oggetto.
Se un critico, un esperto d'arte dicesse o scrivesse che la Cappella Sistina è un capolavoro perché
nella Cappella Sistina ci sono metri quadrati 2480 di affreschi, oppure dicesse che la Pietà del
Michelangelo in Vaticano è un opera d'arte perché pesa chilogrammi 680, noi avremmo dei seri
dubbi sulla capacità di giudizio di quel critico d'arte, di quello storico. Il mio paradosso serve a
capire che quando si parla di opere d'arte non sono i criteri di quantità che valgono, quanto i criteri
di qualità. Si sente spesso dire, e questo costituisce uno di quei ritornelli molto ripresi dalla stampa,
che le mura di Verona sono una gran cosa perché sono lunghe 9.500 metri oppure perché sono
estese in superficie 1.140.000 metri quadrati; questi sono dati impressionanti che danno la
percezione della grandiosità dell'opera, tuttavia non si dice nulla quando si citano questi dati, in
quanto il dato essenziale della cinta magistrale di Verona è che essa è un'opera d'arte e su questo,
ormai, per fortuna, nessuno ha niente da eccepire. Infatti sono i fattori di qualità di quest'opera
d'arte che ne motivano l'eccellenza storica, un'eccellenza che era stata già proclamata dal grande
veronese Scipione Maffei e, quindi, da un uomo la cui cultura illuministica credo non sia
collocabile in una parte faziosa.
Ora esporrò in brevissima rassegna quali siano gli elementi di eccellenza, di qualità della cinta
magistrale di Verona che la rendono unica, come è stato detto, tra le città fortificate d'Europa. Il
primo elemento è la stratificazione storica. Questo insieme monumentale continuo, che abbraccia la
città e l'avvolge, è una struttura unitaria che contiene opere scaligere, venete, absburgiche: quindi
copre un arco di tempo di sei secoli. Se poi ragioniamo sulle preesistenzeinterne alla città, ossia le
opere dell'antichità romana, possiamo ben dire che a Verona convivono opere dell'architettura
militare in un arco di venti secoli, cosa del tutto straordinaria.
Il secondo motivo, che dal primo discende direttamente, è la complessità architettonica
dell'insieme, di questo insieme di monumenti. Nella cinta magistrale di Verona vi è un campionario
di forme dell'architettura militare che sono raccolte come in un atlante vivente di opere. Vi sono
torri, cortine, castelli, rondelle, rivellini, cavalieri, porte, bastioni, sortite, spalti in contropendenza,
rampari, muri alla Carnot, caponiere; tutti termini un po' misteriosi, che appartengono
all'architettura militare. Vi sono, poi, opere murarie, perché gran parte delle mura di Verona sono
fatte di mura vere e proprie; ma vi sono anche opere di terra, ed ecco che i bastioni ottocenteschi
sono in gran parte costituiti da terra. La terra, l'elemento più umile che si possa trovare in natura,
diviene opera d'arte nelle mura di Verona, perché i bastioni veronesi, pur fatti di terra sono
progettati con scienza, con tecnica, sono costruiti geometricamente, sono opere d'arte. Quindi non
solo ciò che è di materia nobile è opera d'arte, ma anche ciò che è fatto di terra.
Vi è, poi, il terzo motivo della qualità e dell'eccellenza delle mura, ovvero la complessità
urbanistica. Verona è una città binata, disposta sulle due rive di un fiume. Il motivo della città
attraversata da un fiume e circondata da fortificazioni è stato uno dei temi più amati dai trattatisti di
architettura militare del Cinquecento. Verona ne è uno degli esempi più clamorosi; si suol dire che
Verona fosse una doppia testa di ponte fortificata.
Per quarto motivo vi è, poi, l'originalità ambientale della nostra città fortificata. Verona è parte in
pianura e parte in collina, come voi sapete; la destra d'Adige è distesa in pianura, la sinistra d'Adige
si inerpica sulle colline e qui si inserisce un tema assai interessante trattato nientemeno che da von
Clausewitz, ossia il carattere delle posizioni nell'arte della guerra: Castel San Pietro, Castel San
Felice sono posizioni dominanti sulla città. Il carattere dominante non è solo un fattore di arte
militare, ma anche un fattore architettonico, ambientale e prospettico. Tutti avvertono la bellezza di
porsi a Castel San Pietro e guardare la città, non solo i guerrieri.
Vi è, poi, il quinto elemento: la paternità progettuale delle opere veronesi. Dei progettisti medio-
evali scaligeri si è perso nell'oblio il nome, perché a quell'epoca poco valeva la paternità
dell'ideatore. Si ricorda un unico nome tradizionale, mastro Calzaro, che, probabilmente, si lega in
maniera indiretta alle fortificazioni di Verona. Tuttavia il magistero tecnico ed artistico delle mura
scaligere è evidente a chi le sappia vedere e guardare. Ricordiamo Michele Sanmicheli, fondatore
della architettura militare moderna; Francesco Maria della Rovere che era il suo sovrastante, esperto
d'arte militare, stratega, ma anche esperto di architettura militare. Nel Cinquecento vi è, ancora,
Guidobaldo della Rovere, nel Seicento Francesco Tensini. Infine, Franz von Scholl che è, forse, il
più prestigioso architetto militare dell'Ottocento europeo: egli ha dato le opere perfette della sua
arte e della sua tecnica proprio a Verona, e qui è morto nel 1838.
Detto questo come una rapidissima rassegna consideriamo che il destino ha voluto che le mura di
Verona si conservassero fino ad oggi, e che esse non sono un relitto del passato. Le mura di Verona
sono l'arca della storia veronese, lì è raccolta la storia veronese, lì è documentata, lì è conservata in
un modo quasi sacro. Questo ci fa riconoscere che le mura di Verona sono la prima opera d'arte di
Verona, città d'arte. Esse sono costruite in un divenire di almeno seicento anni e sono il frutto
dell'ingegno di diversi artisti che in esse hanno fuso tecnica e politica, tramutando il disegno della
sovranità in opere di architettura; in esse si percepisce il duplice carattere di arte e di scienza che
appartiene, sino al primo Ottocento, al pensiero della guerra. Oggi osserviamo le mura di Verona
come il prodotto di un'arte estinta giacché, ormai, più non si costruiscono fortificazioni. Questo è
un motivo di più per guardare con rispetto e con grande affetto le mura di Verona. La stessa
nostalgia che un poeta latino Claudiano manifestava dopo aver abitato a Verona ed essersi ritirato
nella sua terra d'origine, in centro Italia: in una poesia ricordava le belle mura di Verona che erano
lontane, ormai, diceva, quanto l'India; però continuava a ricordarle e questo, mi pare nel IV sec.
d.C.
Noi oggi, nel 2003 parliamo ancora delle mura di Verona come di un fatto leggendario e così è. Va
premesso, a questa rassegna brevissima di immagini proiettate sullo schermo, le quali rappresentano
parte della cinta magistrale di Verona, che le stesse sono state dimenticate in quella famosa Legge
di trasmissione della cinta alla città. È un fatto sorprendente perché chi ha redatto quella Legge ha
perso per strada un po' di pezzi. Se la cinta magistrale di Verona è un fatto monumentale unitario,
tutta la cinta dovrebbe essere stata trasmessa alla città, però ciò non è accaduto. Io non so spiegarmi
la ragione di questo, probabilmente ciò è avvenuto per l'approssimazione, la fretta, una percezizone
vaga delle cose.
Cominciamo da porta Fura che fa parte del mezzo bastione della Catena a destra d'Adige: qui siamo
all'inizio della cinta in piano, nei pressi del ponte del Risorgimento. Porta Fura risale al sec. XII,
quindi all'età Comunale, poi rimaneggiata nel Cinqucento e nell'Ottocento: è una stratificazione di
tutte le epoche fondamentali delle fortificazioni veronesi. Un altro dettaglio della porta Fura
presenta la caserma seicentesca della Catena, la caponiera austriaca che sta in mezzo ed il muro
scaligero con le feritoie ottocentesche. Altra parte che manca è il bastione di Spagna, opera
sanmicheliana del 1547, ma manca anche porta Palio, altra opera del Sanmicheli. Quindi è assente il
bastione di San Francesco in riva all'Adige: il bastione che chiude la cinta di riva destra verso il
ponte della Ferrovia. Quest'opera, considerata dallo stesso Maffei come un esemplare straordinario
di bastione sul fiume, è oggi in condizioni miserande per non dir di peggio. Questo è l'onore che fa
la città a Michele Sanmicheli. Il bastione del Campo Marzo, a sinistra d'Adige, fa parte del
complesso della caserma Passalacqua, grande compendio militare in via di trasmissione definitiva al
comune di Verona; qui verrà insediata l'Università. Speriamo che i futuri progetti espansivi
dell'Università non vadano a collidere con la cinta magistrale, come è stato fatto, anche
recentemente, costruendo dei palazzoni un po' sgraziati proprio a pochi metri dalle mura scaligere.
Ancora manca all'appello della trasmissione delle mura alla città la porta di Campo Marzio, il
bastione delle Maddalene e poi, fatto straordinario, Castel San Felice, che è il vertice della
fortificazione a sinistra d'Adige. Esso è un nucleo fortificato straordinario, di fondazione viscontea,
poi rimaneggiato dai Veneziani, da Francesco Maria della Rovere, da Pier francesco da Viterbo, da
Guidobaldo della Rovere, da Michele Sanmicheli; ricostruito infine da Franz von Scholl dopo la
devastazione napoleonica. Castel San Felice non è conosciuto dai Veronesi perché ci girano attorno,
ma non visono quasi mai entrati. Esso è imponente ed adattato al terreno sul colle dominante la
città. Il castello è del tutto inutilizzato dai militari da molti anni.
Affascinante è il paesaggio che si apre ai piedi di Castel San Felice: da qui si domina Castel San
Pietro, la città e tutto l'intorno. Altra opera è la rondella della Bacola, che costituisce caso a sé
perché non si sa di chi sia, in quanto un privato ne rivendica la proprietà, oggetto di contenzioso;
naturalmente anche questa non fa parte della cessione, come non vi fa parte neanche la rondella
delle Boccare, capolavoro unico con la sua volta anulare che è ridotta a parcheggio.
Quindi il rivellino austriaco e la porta cinquecentesca di San Giorgio concludono la schiera delle
opere assenti. Nel dispositivo della citata Legge del 1989, quattordici anni fa pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale a firma Cossiga, vi è un allegato cartografico in formato "A3". In un disegnetto
difficilmente leggibile, tranne che col microscopio, c'è l'oggetto della cessione, ovvero le mura di
Verona; e chissa chi riesce a capirne qualcosa: sulla piantina compaiono dei retini i quali indicano
che quelle cose retinate sono l'oggetto della trasmissione, però i retini mancano sulle opere ora
menzionate e, quindi, le stesse non sono oggetto della cessione. Questa imperfezione, diciamo così,
è stata resa nota all'onorevole Fratta Pasini, il quale ha corretto questa carenza in un nuovo
dispositivo. La cosa straordinaria è che si volesse trasmettere un bene così complesso attraverso una
cartografia del tutto inadeguata; da notare che qualsiasi atto di trasmissione della proprietà va
documentato con cartografie catastali, per lo meno. Ho voluto insistere su questo aspetto anche per
dimostrare che, a volte, si sono affrontati con mezzi inadeguati operazioni assai complesse ed
importanti.
Voglio impiegare gli ultimi minuti che restano per porre l'accento su altri due aspetti. Uno è quello
che la Legge ha avuto una nascita sfortunata e, poi, un'evoluzione altrettanto infelice; per cui per
quattordici anni si è discusso su come, quando e perché vengono trasmesse le mura di Verona alla
città di Verona.
L'altro aspetto, che in me suscita motivo di riflessione e di dubbio, è che forse nulla cambia se le
mura di Verona appartengono al Demanio dello Stato o al Comune di Verona. Io credo che sia
indifferente perché le mura di Verona appartengono alla città di Verona in quanto essa ne ha la
presenza materiale ed il possesso, come disponibilità diretta. Il Comune di Verona ne è anche
concessionaria legittimo, con dei contratti. Ma le mura di Verona, per definizione di Codice civile
appartengono al Demanio dello Stato come i laghi, i fiumi, le montagne, i beni naturali, le opere
della difesa nazionale e in effetti esse, un tempo, furono opere demaniali perché opere effettive di
fortificazione. Oggi appartengono al Demanio dello Stato in quanto opere d'arte; è stabilito che
anche le opere di interesse storico-artistico, per definizione di Codice civile, appartengono al
Demanio dello Stato e sono perciò inalienabili. Tanto è vero che si pretende che ne sia già stato
venduto un pezzo, come dicevamo prima.
Ancora, poi, appartengono alla comunità nazionale per una ragione ideale ovvero le opere
fortificate di Verona, se le si vuol guardare da un punto di vista patriottico, e qui non sto
scherzando, appartengono alla storia del Risorgimento italiano come dispositivo fortificato che fu
definito e messo in operacontro il disegno dell'unità nazionale. Ma il Regno sardo-piemontese
riuscì a vincere questo dispositivo formidabile, forse non sul campo di battaglia, ma in seguito ad
azioni diplomatiche, per una complessità di fattori storici; tuttavia le mura di Verona sono anche
monumento dell'unità nazionale, e per questo appartengono alla Nazione nel suo complesso.
Appartengono, poi, alla comunità internazionale perché sono opere dell'Impero d'Austria;
contengono inoltre opere della Repubblica Veneta; anche qui siamo in una proiezione di
dimensione europea. Le opere scaligere stesse, come opere collegate al Sacro Romano Impero della
nazione germanica nel Due-Trecento, anch'esse appartengono alla storia d'Europa. La prospettiva
si allarga a tal punto che l'UNESCO le ha dichiarate patrimonio dell'umanità.
Ora questa complessità di appartenenze, che non sono i dati catastali ma le appartenenze ideali
dell'opera, ci inducono a pensare che, forse, non è il caso di acquisirle al patrimonio del Comune di
Verona, ma che esse devono restare dove sono, perché lì è il loro posto, come opere del Demanio
pubblico.
Il problema vero non è tanto dire di chi siano, ma quello di disporre di un progetto di conservazione.
Mentre si è discusso per quattordici anni di chi siano le mura di Verona, in questo lasso di tempo si
sono commessi interventi non appropriati, è proceduto il degrado, con la giustificazione apparente
che il Comune non fa nulla perché non sono sue e il Demanio non fa niente perché non saranno sue
ecc. ecc.. Quella Legge è stata un fattore di ritardo e di inerzia. È stato un pretesto il fatto del
meccanismo inceppato per la dismissione delle mura di Verona. Io non vorrei essere troppo brusco,
e sembrare in polemica con quanto è stato detto in precedenza, ma solo aprire una prospettiva
diversa. Il punto, allora, è quello di dire: l'obiettivo non è tanto quello di definire la proprietà, ma
come salvare e conservare le mura di Verona. Gli atti per conservare e salvare, forse, sono più
perseguibili con il concorso di più forze anche perché, il Comune di Verona ha bisogno di aiuti per
atuare questo obiettivo. Occorre costituire un'intesa, un coordinamento, un consorzio che raggruppi
la Città, lo Stato, la Regione e tutti quei soggetti privati che hanno forza ed intenti per agire. Questa
è, forse, la strada che si potrebbe prospettare per valutare una diversa strategia per le Mura di
Verona.
Per finire vi è, poi, l'annoso dilemma del denaro. C'è da sfatare un fatto che è stato spesso posto
come deterrente, ossia che per intervenire sulle mura di Verona occorrono cento-duecento miliardi
di vecchie lire. L'esperienza è diversa, perché i lavori di recupero e di riconversione eseguiti e
compiuti da Legambiente con il Comune di Verona, laFondazione Cassa di Risparmio di Verona e
la Prefettura, hanno dimostrato che con trecento milioni di vecchie lire si sono recuperati ben due
bastioni, ovvero un tratto di cinta muraria che va da porta Palio fino a porta San Zeno; e non è poco.
E' questa una cifra irrisoria rispetto al risultato che si è conseguito. Ciò significa che ci sono due
piani di azione, come diceva l'assessore Uboldi, c'è un piano di intervento minimo e dettagliato che
ha bisogno di risorse abbastanza limitate e questo può essere perseguito e attivato nell'immediato, e
c'è un piano di grande intervento che, forse, richiede impegni superiori, ma non spropositati. Per
accedere al secondo piano di intervento, occorrono fondi di finanziamento, contributi europei che si
erogano sulla base di progetti finalizzati, non sulla base di intenzioni, questa è un'esperienza che
tutti conosciamo ed è il meteodo applicato dalla Comunità Europea.
Prima di concludere un'ultima riflessione. C'è un altro pensiero che, a volte, è fuorviante
sull'argomento della cinta magistrale, delle mura di Verona, ovvero che se si investono dei denari
questi devono rendere. Ora questo pensiero produttivistico, oggi imperante, direi che non è in linea
con la tradizione più nobile del Rinascimento italiano ovvero il mecenatismo, in quanto si
investivano denari non per ottenere denari, ma per produrre bellezza: la bellezza era il fasto della
corte, del principe. La bellezza è il pregio di una città, investire i soldi per il pregio della città è,
credo, l'operazione più nobile che si possa compiere, perché la bellezza è anche un piccolo passo
verso la felicità."
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